Il 13 dicembre la chiesa cattolica celebra Santa Lucia, la Santa della luce. La martire cristiana visse a Siracusa intorno al IV secolo e, ispirata dall’apparizione di Sant’Agata, dedicò la sua vita ai poveri.
Al Sud, in particolare in Sicilia e in Calabria ed esattamente in molti paesi del Crotonese e del Cosentino, la sera del 12 dicembre viene accesa la fhocara, un grande falò, e si preparano in onore di Santa Lucia alcuni dolci tipici da consumare in famiglia il giorno dopo e da donare ad amici e parenti per invocarne la protezione. In particolare il piatto dedicato alla martire cristiana è ‘u ranu e Santa Lucia, una deliziosa preparazione a base di grano cotto.
Oggi vi parleremo della cuccìa, piatto tipico della provincia cosentina, a base di grano bollito, nella versione salata condito con cotenne carne di maiale o capra, ma c’è anche una gustosa versione dolce tipica della zona tirrenica.
La cuccìa “salata”

La cuccìa viene preparato tradizionalmente nei comuni della fascia presilana della provincia di Cosenza: Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Spezzano della Sila e Pietrafitta, più precisamente l’area rurale della provincia di Cosenza.
La cuccìa più che un piatto è un nome: a seconda del borgo di provenienza infatti va a designare preparazioni in apparenza molto diverse tra loro. L’unico elemento in comune sembra essere il grano bollito: se a Mendicino la cuccìa è un piatto vegetariano (ci azzardiamo a dire vegano) a base di legumi, castagne e cereali, nei comuni di fascia presilana cambiamo decisamente registro. Qui la cuccìa indica una zuppa sostanziosa a base di carne di capra o maiale, grano bollito e spezie.
La preparazione si svolge nell’arco di tre giorni e avviene nel tradizionale calderone in terracotta chiamato tinìellu. Per assonanza e somiglianza un’ipotesi è quella della derivazione dal cus cus, il tipico piatto arabo e saraceno. Per tale ragione il piatto risalirebbe alle origini dei casali presilani, quando i saraceni invasero Cosenza.
In epoca già cristiana, troviamo la Cuccìa in Grecia come cibo rituale propriamente della Commemorazione dei defunti. Quindi si diffonde, seguendo due direttrici, verso i paesi dell’Europa orientale che ricevono la religione greco ortodossa, e verso le regioni dell’Italia meridionale, dove l’usanza si estese alla festa di alcuni santi.
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Un’altra ipotesi sull’origine, non verificata storicamente e che fa parte della tradizione orale e che riguarda i Casali dell’area presilana, è quella secondo cui il nome “cuccìa” deriverebbe dal processo di selezione del grano che veniva fatto chicco per chicco “cuucciu” (granello) per separarlo dalla veccia. Secondo quest’ultima ipotesi l’origine del piatto viene fatta risalire al XXVI secolo D.C. quando fu realizzato il Convento di San Francesco di Paola Pedace costruito nel 1617 sui resti del cenobio della confraternita di Santa Maria della Pietra.
Il complesso architettonico a base rettangolare è collocato su un masso di notevoli dimensioni. Una leggenda popolare narra che sia stato proprio San Francesco di Paola ad insistere, contro la volontà dei manovali, spostando in continuazione i materiali per la collocazione della pietra angolare sul masso.
I monaci per poter ripagare i manovali e muratori, non potendo offrire altro, cucinavano questo piatto con l’utilizzo di carne ricavata da varie parti del maiale e tenuta sotto sale e grano frutto dell’elemosina.
Ricetta:
- 400 g grano
- 750 g carne di maiale o capra
Procedimento
Mettere in ammollo in acqua (non salata), 400 g di grano per circa 48 ore. Cuocere lo stesso, per 5 – 6 ore, a fuoco lento e contemporaneamente, bollire, in acqua leggermente salata, 750 g di carne di maiale. Dopo la cottura del grano aggiungere il brodo ottenuto dalla carne di maiale e lasciare sul fuoco ancora per un’ ora.
Quando il grano avrà assorbito il brodo, porre lo stesso in un recipiente di coccio “U Tinìellù” alternandolo con strati di carne (l’ultimo strato dovrà essere di grano) Porre il recipiente nel forno a legna alla stessa temperatura utilizzata per far cuocere il pane. Lasciare nel forno fino al giorno successivo per l’ora di pranzo.
Ed ecco a voi la Cuccìa, pietanza da servire preferibilmente calda o tiepida.
La cuccìa “dolce”

La cuccia è un dolce tipico palermitano, solitamente mescolato con crema di ricotta o di latte, zucca candita e scaglie di cioccolato. Tipico e apprezzatissimo dolce della Festa di Santa Lucia del 13 dicembre insieme alle panelle dolci e agli arancini al cioccolato, la cuccìa di Santa Lucia è consumata in particolar modo nelle zone di Palermo e Siracusa, che se ne contendono l’invenzione.
Questo fantastico dolce è approdato a Paola perché i signori del feudo di Fuscaldo e anche di Paola veneravano S. Lucia: la cuccìa si presenta in versione dolce, sotto forma di cioccolata calda aromatizzata alle spezie.
“All’immacolata si mette a mollo il grano per la cuccia. Da sempre è stato così. Dopo quattro giorni il pomeriggio del dodici si fa bollire. Si sgusciavano le noci, tante, e si mettevano in forno ad abbrustolire a fuoco basso. Si prendevano le arancie con la buccia verde, quelle che si trovano nei giardini dei nostri vicoli, e si tagliavano in pezzetti piccoli. A cuccia cotta si aggiungeva cacao amaro, zucchero noci, un po di uva passa, la buccia di arancia e cannella e chiodi di garofano. Cioccolato fondente. Una cottura di ore. Mamma dopo cotta la metteva in un recipiente di coccio e la copriva. Non si poteva neanche assaggiare…ci doveva la notte prima passare “u peri i S. Lucia”. Il tredici si poteva mangiare. Mamma la distribuiva a tutto il quartiere. Cussì si usava.”
(Anna Maria Manes su Facebook)
Insomma, ce n’è per tutti i gusti (ed è la versione che preferisco).
Fonti: dissapore.com | villaggiolafeluca.com | reportage online.it | wikipedia.it