Lo spagnolo non poteva non influenzare il dialetto calabrese per via del predominio su questa terra della corona iberica.
Un dominio spezzato da poche altre intrusioni, come il francese e il tedesco.
Ovviamente questo non è un motivo per papariarsi (da papelonar) ossia pavoneggiarsi. Il popolo italiano, ed i calabresi, in particolare, sono stati sempre turduni (da aturdida), ottusi al mettere da parte il proprio individualismo in favore di un bene comune.
L’influsso dello spagnolo non si è limitato alla sfera lessicale, la parte solitamente più ricettiva, ma anche a livello sintattico.
Un esempio eclatante è l’utilizzo della preposizione “a” per introdurre l’accusativo, una forma adoperata regolarmente nella moderna grammatica spagnola.
Certo non bisogna forzare la mano cercando scamogghi (da escamujo) o falsi pretesti nel confermare queste ipotesi. L’importante è non struppicare (inciampare, deriva da tropezar), si potrebbe finire col confondere le idee e farsi facilmente gabbare (ingannare, che però deriva dal tedesco “goffein” ma è un’altra storia).
(Tratto da “Il Bollettino Archeologico di Motta Sant’Agata” n° 4 (2012) a cura di Francesco Ventura)

La dominazione spagnola (XVI° sec.)
Quelli della dominazione spagnola furono anni di atroci sofferenze, di contrasti con i baroni, acuiti da carestia e da pestilenze: terribili quelle del 1656 e del 1668 che mietevano le popolazioni, riducendole di un terzo. La popolazione della Calabria, che alla metà del Cinquecento era di 800.000 abitanti, alla fine del secolo era calata a 555.000 abitanti.
Mentre l’Italia centro-settentrionale rifioriva culturalmente dietro la spinta del movimento umanistico-rinascimentale, la Calabria restava una regione inaridita dalla feudalità, appartenente al Regno di Napoli. L’aristocrazia feudale, d’intesa con il governo spagnolo, aveva raggiunto posizioni influenti nella società.
Lascito linguistico
Si pensi poi al verbo vedere in spagnolo, che vede il complemento oggetto preceduto da una “a” se si tratta di una persona. Questa costruzione è stata interiorizzata da molti dialetti meridionali, che l’hanno italianizzata (“oggi ho visto a mamma”, si sente ad esempio dire).
Anche il calabrese risente dell’occupazione spagnola, come si può notare dal lemma “rascare”, simile allo spagnolo “rascar”, grattare. È proprio in questo dialetto che troviamo anche una parola curiosa: “milun’e acqua”, l’anguria, che richiama la costruzione del corrispettivo inglese “watermelon”.
C’è poi il caso forse unico della parola ciliegia, che in molti dialetti richiama sia lo spagnolo “cereza” sia il francese “cerise”: “ciras” in napoletano, “scirès” in brianzolo, “cerasa” in calabrese.
Quindi, nonostante l’Italia sia un Paese libero ed unito da quasi 160 anni, i dialetti che circondano il nostro territorio testimoniano ancora in prima persona l’influenza linguistica che i secoli di occupazione straniera ci hanno lasciato.
Fonti: ascenzairiggiu.com | patrimonilinguistici.it | arte26.it |