È bello considerare la tradizione come una visione, qualcosa immutato nel tempo che è giunto fino ai nostri tempi. Possiamo considerare la tradizione un processo dinamico, perchè tramanda il vecchio ,a si apre sempre alle innovazioni, dualismo su cui fonda la sua essenza e che gli permettere una futura esistenza.

Osservando le nostre tradizioni, non possiamo fare a meno di notare come ci sia una forte eredità romana nelle tradizioni popolari Calabresi, distillandoci nel nostro intimo un insieme di sintesi e di antichi riti, conoscenze e credi che trasportati nella nostra terra divennero qualcosa di nuovo.

Qual’è il segreto di tale successo? Cosa ci ha dato la possibilità di tenere ferme queste tradizioni dai roman ai gionri nostri? Sicuramente è grazie alla ritualità, la sacralità, gli stessi motivi che hanno permesso ai romani di conquistare e regnare nel mediterraneo per 1000 anni.

Ci sono rituali romani che in qualche modo sono ancora oggi presenti nelle nostre tradizioni popolari, seppur con connotati differenti e spesso a margine di alcune importanti festività religiose di culto Cattolico e Ortodosso.

Dies Parentalis (Le feste dei morti presso l’antica Roma) e la festa dei morti a San Demetrio Corone

Le Parentalia, secondo la mitologia romana, erano le feste dei morti che, pur se inserite nel calendario religioso, si svolgevano prettamente in ambito familiare e all’interno della domus, cioè della casa.

Questa festa era celebrata per onorare i parenti defunti e si svolgeva nella settimana che andava dal 13 al 21 febbraio, e non come noi il 2 novembre. In quest’ultimo giorno chiamato Feralia si credeva che le anime dei defunti potessero girovagareliberamente tra i vivi, così i parenti visitavano le tombe dei loro cari portando offerte di vario tipo, e si usava addirittura consumare pane e vino accanto alle sepolture offrendola ai defunti.

Questo riti sono a noi molto familiari infatti, in un paese in provincia di Cosenza, e precisamente a San Demetrio Corone, comunità Arbëreshë, dove avviene qualcosa di molto simile.

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La festa dei morti a San Demetrio Corone

Come previsto dal calendario liturgico ortodosso, a San Demetrio Corone la festa dei morti è una festa mobile: è un culto popolare che si celebra ogni anno il sabato che anticipa la domenica di Carnevale, quindici giorni prima dell’inizio della Quaresima.

Così come nell’antica Roma anche a San Demetrio Corone la festa dei morti dura un’intera settimana, e anche a San Demetrio Corone come nell’antica Roma è diffusa la credenza che i defunti escano dall’oltretomba per far visita nei luoghi dove sono vissuti.

I due principali momenti rituali del giorno dei morti a San Demetrio Corone sono la processione al cimitero e l’elevazione della Panaghia.

Panaghia

Durante la processione i fedeli intonano il canto Tek jam i thell (Dove sono sprofondato), un canto funebre in lingua Arbëreshë e, all’arrivo dei fedeli nel cimitero segue la celebrazione della messa nella chiesetta, il Papàs benedice l’ossario e bussa 3 volte nella porta di ferro per salutare i defunti che sono dietro. A questo punto i parenti degli estinti si appartano presso le tombe dei propri cari, segue il consuma rituale di cibi e bevande invitando chiunque passi a partecipare.

Altro rito importante è la Panaghia, la tutta Santa. Durante la commemorazione dei defunti, suggestiva è la visita dei sacerdoti (papàdes) presso le famiglie, per procedere alla benedizione della Panaghia appunto, non è altro che una mensa con vino, pane, grano bollito e una candela sovrapposta al centro, simboli della resurrezione dei corpi e dell’immortalità dell’anima.

I fuochi di Santa Lucia

Un’altra eredità romana nelle tradizioni popolari Calabresi, il colle Viminale ospitava un bosco sacro di salice viminale, una qualità di vimini con cui si facevano e continuano a farsi delle scope, scope di saggina con fasci di vimini che a quel tempo erano sacre. Si tratta di una scopa che posta davanti all’uscio di casa proteggeva la porta dagli spiriti maligni e si usava anche a fine o inizio anno. Si tratta di un’immagine molto familiare per chi è abituato a frequentare i paesi dell’entroterra calabrese.

E ancora, intorno al solstizio d’inverno si usava ardere un grosso ceppo anche perché alla Dea Strenna e alle strenne era collegata la festa del fuoco, oggi Santa Lucia il 13 dicembre. E neanche a dirlo, i fuochi rituali accesi in onore di Santa Lucia è una tradizione ancora molto diffusa in diversi paesi della Calabria, soprattutto fra le comunità di pastori.

Crotone: Sul lungomare l’antica tradizione dei “Fuochi di Santa Lucia”

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I Die Natalis, La Strenna natalizia e i mostaccioli di Soriano

Altra eredità romana nelle tradizioni popolari Calabresi è la strenna natalizia. La strenna natalizia non è solo l’insieme dei regali che si scambiano nel periodo di Natale, ma ha a che fare con i Die Natalis romano e i regali della Befana.

La Dea Strenna era un’antica dea italica che fu poi assunta nel Panteon Romano. In suo nome si scambiavano doni augurali durante i Saturnalia, (soprattutto doni da fare ai bambini), festività che si svolgevano dal 17 al 23 Dicembre in onore del Dio Saturno che anticipava il giorno del Die Natalis.

La Strenna natalizia, però, viene anche dalla festa dei sigillaria che prende il nome da una statuetta di argilla che si scambiava tra parenti e amici il 20 dicembre, ai bambini si usava invece donare biscotti che rappresentavano la dea con diversi seni. Ecco un’altra eredità romana nelle tradizioni popolari Calabresi: i biscotti dalla forma di donne prosperose, o comunque dalla forma antropomorfa ,sono diffusi in tutta l’area mediterranea e anche in Calabria, seppur inseriti in complessi rituali del tutto diversi.

Come i famosi mustazzoli o mostaccioli di Soriano Calabro, che sono dolci rituali che riproducono diverse forme sia antropomorfe, zoomorfe, ittiomorfe ma anche altre forme come cuori, panieri, a S rovesciata, a goccia o palma, insomma tutte forme simboliche che richiamano a qualcos’altro.

E ancora, nell’area grecanica calabrese, in provincia di Reggio Calabria, è particolarmente diffusa la Musulupa che non è un dolce ma un formaggio tipico prodotto in quest’area modellato in tradizionali stampi di legno di gelso intagliato, le Musulupare appunto, e consumato ritualmente specie nel periodo di Pasqua. La Musulupa si presenta in 2 principali forme, una antropomorfa con una donna particolarmente prosperosa, e l’altra a disco con decorazioni che propongono una serie di seni femminili.

La Musulupa: il tipico formaggio dell'area grecanica in provincia di Reggio Calabria

Le strine natalizie

Alla dea Strenna era stato dedicato un locus, cioè un luogo sacro, la dea quindi simboleggiava prosperità, potenza e fortuna. Strenuo, infatti, significa forte e corrispondeva alla capacità di allontanare gli spiriti maligni.

Così, la strina è ancora oggi un canto natalizio che si esegue di casa in casa porgendo gli auguri ai componenti della famiglia e nelle campagne si fa dal periodo che va dall’immacolata concezione fino al Natale. In Calabria sono famose, per esempio, le strine di San Giovanni in Fiore, dove i musici si recano di casa in casa intonando canti beneauguranti chiedendo in cambio doni e cibarie, o consumando un bicchiere di vino.

Strina a Lamezia

La preziosa eredità che Roma ci ha laciato è infinita, non solo in Calabria, ma in tutto il mondo. È un cerchio che non si chiude perché sono tante le tradizioni tramandateci dai romani, che a loro volta le presero in prestito modificandole.

A noi, non resta che continuare a tramandarle e renderle vive.

Fonti: ecodellalocride.it | sergiostraface.it |