Come ogni anno, il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Una data che non dovrebbe esistere, perchè non dovrebbero esserci questi episodi infimi e atroci, ma ancora stiamo qui a parlarne, a maggior ragione dopo lo scoppio della pandemia.
Con la prima quarantena infatti, sono aumentate le richieste d’aiuto delle donne seguite dai centri antiviolenza. L’allarme per l’aumento della violenza domestica contro le donne a causa del confinamento è stato spesso segnalato dai media in tutto il mondo.
Premesso che la violenza contro le donne ha le radici molto antiche: la cultura maschilista secolarizzata che porta a privilegiare la struttura patriarcale, legittima la violenza dell’uomo sulla donna.
Il ricorso alla violenza spesso è legato all’incapacità dell’aggressore di utilizzare la comunicazione o altre forme e strategie per far valere il proprio punto di vista. Non gli resta altro che ricorrere ad atteggiamenti di dominanza e controllo per svalorizzare l’altro, attraverso forme di manipolazione psicologica che quasi sempre scattano all’interno di relazioni e rapporti coniugali o di convivenza malati.
A oggi le vittime sono in notevole aumento, a causa del lockdown che costringe spesso le donne a vivere in una convivenza forzata sotto lo stesso tetto con i loro “carnefici”.
Secondo i dati del Dossier del Viminale 2020 durante la chiusura per l’emergenza sanitaria da Coronavirus sono triplicati gli omicidi che hanno avuto come vittima una donna, arrivando a un femminicidio ogni due giorni. L’ambito di maggiore pericolosità oggi è quello familiare, dove avvengono oltre la metà degli omicidi in Italia. Negli 87 giorni di lockdown per l’emergenza Coronavirus (9 marzo – 3 giugno 2020) sono stati 58 gli omicidi in ambito familiare-affettivo: ne sono state vittime 44 donne (il 75,9%) e in 14 casi gli uomini. Ciò significa che, durante la pandemia, ogni due giorni una donna è stata uccisa in famiglia.

Perché il COVID-19 ha fatto aumentare la violenza sulle donne?
- Lo stress economico correlato al rischio di perdere il lavoro aumenta l’irritabilità e la rabbia sociale.
- Si è modificata la rete di protezione sociale, con significativa riduzione dell’accesso ai servizi. Le misure di distanza sociale hanno portato le persone a rimanere a casa, e il confinamento aumenta il rischio della violenza domestica, poiché i membri della famiglia rimangono molto tempo a casa in contatto fra di loro.
- Visto le restrizioni, gli accessi ai servizi è molto limitato.
- Si sono quasi azzerati i contatti con i membri della famiglia e gli amici che potrebbero aiutare le donne nei casi di violenza domestica.
- L’aumento del lavoro domestico durante la pandemia e le relative difficoltà economiche genera nervosismo con un aumento di conflitti e violenze.
- Gli aggressori possono esercitare il controllo diffondendo informazioni sbagliate in relazione alla malattia per stigmatizzare il partner.
- Chi infligge gli abusi e le violenze può usare le restrizioni dovute al coronavirus per esercitare un maggiore potere di controllo sul partner e sui figli, rendendogli la vita impossibile: difficoltà nell’accesso ai servizi, agli aiuti, ai supporti psicosociali da parte delle reti sociali formali e informali, addirittura, lo si è visto, impedendo l’accesso a oggetti necessari quali il sapone e il disinfettante.
L’uscita dal confinamento allevierà la situazione per le donne che hanno subito violenza?
La risposta è difficile: da un lato l’uscita da casa allevierà il controllo patologico da parte dei persecutori, dall’altra i comportamenti ripetuti tendono a radicarsi, rendendo la donna impotente e vittima di se stessa, non solo dell’altro.
Per aiutare le donne a reagire, è necessaria una forte campagna sociale di comunicazione, che da un lato le renda consapevoli della loro condizione e le aiuti a reagire, dall’altro sensibilizzi i membri della famiglia e gli amici ad aiutarle.

Di grande importanza far conoscere pregievoli iniziative contro questo altro virus che purtroppo è diffuso da anni. Segnalo con piacere la campagnia SCARPETTE ROSSE DI CERAMICA PER DIRE NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE, realizzata dall’AiCC, Associazione Italiana Città della Ceramica, che si distingue da anni nel panorama culturale ed artigianale italiano per iniziative di impegno etico e poetico come questa.
Leggi anche: Scarpette Rosse in Ceramica per dire No alla Violenza sulle Donne.
Ne parlo in questo articolo per MyWhere.
La Fondazione “Roberta Lanzino”
Da segnalare a gran voce La Fondazione “Roberta Lanzino” ONLUS, nata in Calabria nel 1989 in seguito alla morte per stupro di Roberta, 19 anni, studentessa al primo anno di Scienze economiche, Unical.
La aFondazione nasce in un tempo in cui ancora la violenza sulle donne non era riconosciuta e rappresentava un tabù difficile persino da nominare.
Tabù che nella particolare composizione geografica, sociale, culturale della Calabria, sembrava insuperabile e difficilissimo da intaccare.
La Fondazione nel corso degli anni ha lavorato affrontando il difficile problema da diverse angolazioni, facendosi piano piano conoscere sull’intero territorio calabrese e poi anche nazionale e diventando nel tempo sempre più un riferimento preciso sia di sostegno per le donne maltrattate e vittime di violenza sessista, sia culturale per il territorio nella sua globalità.
Particolare rilevanza nella sua storia, acquista la costruzione del primo lotto di una importante struttura abitativa, funzionale ai bisogni delle donne e dei minori maltrattati e in difficoltà a causa di situazione di violenza: “LA CASA di Roberta”.
Fonti: gariwo.net | fondazionerobertalanzino.it | liberoquotidiano.it |